Sogni in cerca di sognatori: ipotesi sulla storia e la teoria del Social Dreaming

a cura di LILIA BAGLIONI, FRANCA FUBINI

Mi sono occupato del sogno che, come strumento di indagine culturale, avrebbe potuto contribuire alla qualità dell’esistenza umana, poiché da sempre illumina i problemi attuali della vita. LAWRENCE

Wordsworth dice di udire spesso la quieta e triste musica dell’umanità. Suppongo che siamo in contatto con i nostri compagni della razza umana. BION

Che cos’è il Social Dreaming? Il Social Dreaming è una metodologia che esplora la dimensione inconscia del mondo sociale. Si basa sull’ipotesi che i sogni sono rivelatori non solo della dimensione psichica individuale, ma anche del contesto allargato, politico e sociale, in cui vivono i sognatori. Il Social Dreaming (SD) fu scoperto da Gordon Lawrence negli anni Ottanta del secolo scorso; è uno strumento di indagine sul pensiero sociale di una collet- tività che consente a un gruppo di persone di attingere al sapere culturale e al pen- siero dei sogni dei suoi membri. In particolare, il SD si concentra sul sogno e non sul sognatore e sollecita la capacità dei sognatori di individuare collettivamente significati sociali.

Il SD è uno strumento di ricerca-azione sui processi sociali e collettivi. È uno strumento di indagine e di evoluzione culturale coerente con la funzione che Bion attribuisce alla psicoanalisi, ossia di ampliare il campo prescelto come oggetto di esplorazione. Alla fine degli anni Settanta, al Tavistock Institute di Londra di cui Lawrence insieme a Miller era direttore, si conducevano ricerche sui gruppi e sui sistemi con l’ipotesi di rendere la società allargata un campo di studio più intelligibile; si sperimentavano nuovi eventi con lo scopo di gettare luce sulle realtà politiche e sociali.

Il SD fu la risposta al bisogno di concepire un evento che non solo permettesse un’esperienza approfondita dei processi inconsci attivi nella vita di un gruppo, ma consentisse anche di attingere al suo nucleo creativo. Nelle Group Relations Conferences (GRC) http://www.tavinstitute.org/news/what-is-a-group-rela- tions-conference, basate sul lavoro pionieristico di Bion con i gruppi, l’inconscio era considerato soprattutto come un elemento di ostacolo al perseguimento del compito. La premessa era che l’inconscio dovesse diventare cosciente, per far si che il gruppo fosse in grado di collaborare nella ricerca di un miglior contatto con la realtà.

Il SD, invece, parte dall’ipotesi che l’inconscio e il conscio possano operare in tandem. Se nelle GRC l’accento è posto sulle difese inconsce rispetto al compito del gruppo di lavoro/realtà, nel SD l’enfasi è sull’inconscio come fonte di creatività. Il SD utilizza la carica propulsiva che scaturisce dalla collaborazione dei processi consci con quelli inconsci. Fu dunque una risposta sperimentale alla richiesta di sviluppare uno strumento capace di mobilitare il potenziale di un gruppo di accedere alla propria saggezza collettiva, infinita e sconosciuta, e di indirizzarla alla promozione del cambiamento.

In questo senso il SD porta avanti l’intuizione bioniana per cui una preoccupazione fondamentale del gruppo riguarda anche il proprio sapere e le modalità gruppali che producono e gestiscono l’emergere di nuove conoscenze.

Come analista sono molto colpito dal fatto che la cura psicoanalitica del singolo e l’analisi di gruppo descritta in questo studio trattano aspetti diversi dello stesso fenomeno. La combinazione dei due metodi offre a chi esercita la psicoanalisi la possibilità di una visione binoculare rudimentale. Le osservazioni possono essere raggruppate in due categorie la cui affinità è dimostrata da fenomeni che, se esaminati con un metodo, sono centrati sulla situazione edipica in rapporto al gruppo di accoppiamento e, se esaminati con l’altro, sono centrati sulla sfinge e collegati ai problemi della conoscenza e del metodo scientifico (Bion, 1961, 16).

Il SD fa sua la prospettiva della sfinge e si concentra sulla natura del sognare/pensare prodotto dai contesti umani. «Sognare rappresenta la modalità umana per accedere all’inconscio, con la sua logica unica […] Rendendo i pattern del sognare parte della nostra vita della veglia miglioriamo la larghezza di banda della coscienza» (Lawrence, 2005, 29).

Il SD apre la strada al pensiero dell’infinito poiché accede alla vita mentale subliminale e alle potenzialmente infinite relazioni che si stabiliscono tra le menti degli individui nei sistemi sociali. È noto che la nostra vita mentale è per lo più occupata da informazioni inconsce e che la visione inconscia si è dimostrata capace di raccogliere maggiori informazioni dello scrutinio cosciente, di una durata centinaia di volte superiore […] La struttura indifferenziata della visione inconscia […] manifesta una potenza di scandaglio superiore a quella cosciente (Ehrenzweig, 1967, 63).

LO SPAZIO INTERMEDIO E IL SOCIAL DREAMING IN ITALIA

I pensieri, e in particolare i pensieri nuovi, vivono nello spazio esistente tra le menti, uno spazio che non appartiene a nessuno, ma è possesso comune di tutti. L’opinione che le idee nascano nelle menti individuali e siano quindi proprietà privata è contraddetta dall’evidenza della pratica. Un pensiero nuovo o un’idea inedita possono essere percepiti contemporaneamente da molti individui. Bion sostiene: Prendiamo, per esempio, un gruppo come questo: abbiamo un insieme di conoscenze che sono estranee a quel poco che ognuno di noi sa […] Penso ci sia qualche cosa mediante cui la saggezza che deriva dal nostro essere assieme si faccia sentire da un gran numero di persone contemporaneamente (Bion, 1980, 110-111).

L’elaborazione di un pensiero nuovo dipende da quanto il contesto sia pronto ad accoglierlo. La sua sopravvivenza e la sua prosperità, o viceversa la sua morte, dipendono dalla qualità del contesto e dalle emozioni che lo permeano. Ne è un buon esempio il modo in cui è stato accolto lo stesso Social Dreaming (SD).

In Italia il SD si è sviluppato e diffuso a partire dal 2001, con la traduzione italiana del libro di Lawrence Social dreaming : La funzione sociale del sogno (prefazione di Laura Ambrosiano) e quando Lawrence fu invitato da Claudio Neri a tenere delle Matrici di Social Dreaming (SDM) all’Università La Sapienza di Roma. La comunità scientifica italiana si è dimostrata particolarmente sensibile nell’ambito del lavoro psicoanalitico e con i gruppi, perché il SD era in linea con gli interessi di ricerca di numerosi psicoanalisti e coerente con alcune idee bioniane che avevano all’epoca ampia circolazione (Corrao, 1998; Neri, 2003). Inoltre, in Italia erano già molto diffusi i gruppi psicoanalitici non terapeutici (gruppi esperienziali), in cui i sogni dei partecipanti costituivano il sistema principale di autorappresentazione della vita del gruppo e venivano considerati come una finestra sulle sue costellazioni emotive inconsce in costante movimento. Tutto ciò potrebbe spiegare l’accoglienza e la naturale integrazione dei progetti di SD in campi diversi e numerosi (università, enti pubblici e privati, formazioni professionali ecc.).

Mentre in Italia il SD ha potuto svilupparsi grazie a questi apporti teorici preesistenti, in Inghilterra l’accoglienza è stata molto diversa. Al Tavistock Institute erano stati messi a punto degli strumenti particolari di indagine dei fenomeni sociali partendo dalla teoria bioniana sul funzionamento dei gruppi. Nella cultura specifica prevalente l’attenzione si focalizzava sulla comprensione di quali fossero le condizioni che permettono a un gruppo di perseguire il proprio compito e sulle relazioni tra il gruppo e il suo leader. Pur considerando centrale la teoria degli assunti di base e dei gruppi di lavoro, non era avvenuta una sufficiente integrazione della teoria di Bion del pensiero, né delle riflessioni da lui elaborate dopo aver lasciato l’Inghilterra. La nostra ipotesi è che il corpus di conoscenze relativo ai gruppi che in Inghilterra era stato già fortemente codificato, avesse saturato il campo della ricerca sulle dinamiche gruppali e ostacolato l’accoglienza di idee nuove.

La scoperta del Social Dreaming affonda le sue radici nello studio dei gruppi e nella psicoanalisi, ma perché l’idea trovasse spazio nella mente di un pensatore, era necessario che nella cultura occidentale nascesse un modo nuovo di concepire l’universo e la mente, che all’inizio del secolo scorso si presentavano come il prodotto della legge, dell’ordine e della certezza. Oggi, invece, l’incertezza e il caos sono caratteristiche essenziali dell’ordine nascosto dell’universo, ormai inteso nella sua complessità e al di là della nostra capacità di afferrarlo e descriverlo in modo definitivo ed esaustivo (Briggs, Peat, 2000).

 

SOGNI IN CERCA DI SOGNATORI

L’universo, e le menti che lo rappresentano, appaiono come una rete complessa di relazioni interdipendenti e dinamiche, dove tutto è collegato a tutto. Il Social Dreaming si inserisce ed è frutto di tale sviluppo culturale.

PENSARE/SOGNARE LA REALTÀ NEL CONTESTO

Bion, più di Freud, esamina il processo stesso del sognare e formula l’ipotesi che sognare (il lavoro-del-sogno ) avvenga di giorno e di notte, soggiaccia tanto al principio di realtà quanto a quello del piacere e comporti un’attività di collaborazione tra il processo primario e quello secondario (Bion, 1992).

Secondo la sua teoria, l’esperienza – compresa quella di avere una mente – dev’essere sognata perché possa essere reale per la personalità, costituendo un processo ricorsivo e virtualmente infinito. Tale processo si configura come l’ordito della materia di cui sono fatti un Sé reale e un mondo reale, intessuti di fili tanto materiali quanto immateriali (Bion, 1991).

Come esseri umani siamo dotati di una mente che, isolata, non è in grado di sviluppare le proprie funzioni; poco dopo la nascita deve accoppiarsi con una mente più matura per acquisire la capacità di stabilire un contatto creativo e duraturo con altre menti, continuare a crescere e contribuire allo sviluppo di culture favorevoli alla vita.

Nel nostro ambiente organizzato tutto scaturisce dai pensieri e dall’attività del pensiero degli individui e dei gruppi che essi formano. Il modo in cui percepiamo ed esploriamo la realtà stessa nasce dal pensiero: pensiero che divide e vede le parti, pensiero che unisce, coglie le relazioni tra le parti, pensiero che stabilisce connessioni e nuovo pensiero che le dissolve, generando nuove identità e nuove forme di conoscenza.

Il pensiero, dunque, può essere inteso come un processo ininterrotto a cui si dedicano gli abitanti dell’universo. Pensare è il risultato della partecipazione alla struttura profonda della realtà e al compito di darvi forma e significato.

Bion postula «pensieri senza un pensatore», che esistono «selvatici» nello spazio «là fuori» (Bion, 2005). Nello stesso testo parla dei sogni come un esempio di questo tipo di creature selvatiche e rimanda alla libera associazione come esempio di un pensiero, catturato in un contesto inaspettato, al quale viene assegnato un nome. Interessato alla genesi di queste creature dei sensi che hanno una controparte nella sfera non sensoriale della mente, ne rintraccia le origini nell’infinito, formulando un’ipotesi ingegnosa.

In Memoria del futuro (Bion, 1990, pp. 56-64) Du, un personaggio intrigante, intrattiene con Robin addormentato un dialogo notturno, che oscilla tra l’incubo e il sogno. Potremmo intendere un simile dialogo come la descrizione del fatidico rapporto tra un pensatore e il germe di un’idea nuova, un pensiero selvatico. Dev’essere sognato oppure abortito? Se viene sognato (addomesticato e trasformato in un inquilino provvisorio della mente), può sopravvivere e trasformare il sognatore. Potremmo aggiungere: se il sogno trovasse voce, potrebbe fuggire dalla prigione della mente di Robin e mutare il contesto sociale.

IL SOGNO COME STRADA MAESTRA ALLA CONOSCENZA INCONSCIA DEL COLLETTIVO

Se per capire un gruppo occorre un gruppo di persone, per capire il significato sociale di un sogno occorre un altro sogno, anzi molti più sogni. In effetti, «i sogni parlano con altri sogni» (Lawrence, 2003, 3) e: Quando tre o più persone si riuniscono, la probabilità che la loro mente inconscia entri in risonanza è elevata; le immagini inconsce si riecheggeranno a vicenda… in questo modo nasce l’inconscio sociale… Concentrando il flusso dell’esperienza del sogno… si svela un nuovo dominio di significato sociale basato sul «multiverso» di significati (Lawrence, 2007, 15-16).

Negli anni Settanta del secolo scorso, Lawrence osservò che, se durante una GRC si dava voce ai sogni, questi sembravano essere strettamente correlati all’esperienza che i partecipanti avevano del gruppo in quel dato momento. Tuttavia, la conoscenza contenuta nei sogni non era oggetto di indagine dato che «a quel tempo era difficile lavorare con i sogni, poiché l’analisi del singolo sognatore era un tabù» (Lawrence, 2005, 2).

La ricerca si incentrò su come lavorare con i sogni per accedere a quanto potessero rivelare della vita e del pensiero del gruppo, senza necessariamente concentrarsi sulla vita del sognatore singolo. Dagli studi di antropologia Lawrence sapeva che, tradizionalmente, il racconto dei sogni poteva essere una fonte di conoscenza collettiva, ma ciò non costituiva evidenza sufficiente. Imbattersi in The Third Reich of Dreams (Beradt, 1968) fornì l’anello mancante e l’evidenza necessaria perché il Social Dreaming cominciasse il suo viaggio. Beradt, una giornalista tedesca, aveva raccolto i sogni riferiti dai pazienti ad alcuni medici suoi amici prima e durante la dittatura nazista. A guerra finita, i sogni furono finalmente pubblicati: essi prefiguravano la realtà politica della società totalitaria in cui erano stati prodotti rispecchiandola chiaramente.

Non c’è alcuno schermo che occulti le associazioni e nessun soggetto esterno deve fornire il nesso tra l’immagine onirica e la realtà – lo fa il sognatore stesso (Beradt, 1968, 15).

Nel 1982 Lawrence e la sua collega Patricia Daniel diedero inizio al Tavistock Institute a un «Progetto di Social Dreaming e Creatività», finalizzato a verificare l’affermazione che è possibile sognare socialmente. L’ipotesi era che il sogno di chi sogna nel proprio ruolo di cittadino venga accolto come sogno sociale e fornisca effettivamente il nesso tra l’individuo e la sua nicchia ecologica.

L’idea era di esplorare un contesto diverso per sognare – distinto dal setting psicoanalitico o dal gruppo terapeutico – alimentato da un collettivo di persone che si riuniscono con la finalità di condividere i sogni e le libere associazioni ai sogni. Si riteneva che in un simile contesto il significato dei sogni e del sognare si sarebbe arricchito espandendosi, che i pensieri sarebbero circolati più liberamente, tanto da permettere all’uno e ai molti di captare gli echi dei pensieri che abitano lo spazio mentale in cui ognuno di noi è collegato all’ambiente sociale, culturale e naturale.

Da quel primo progetto di trent’anni fa la teoria e la pratica del Social Dreaming si sono sviluppate grazie a esperienze condotte in diversi setting e paesi del mondo.

LA MATRICE DEL SOCIAL DREAMING

Per contenere il processo del Social Dreaming fu concepito un setting specifico: la matrice, che è sia un processo che una forma.

Come processo, la matrice è il sistema e la rete di emozioni e pensieri presenti in ogni relazione sociale, per lo più trascurati e non riconosciuti. Può essere inteso come il rispecchiamento, nella veglia, dell’infinito, e di quei processi inconsci che generano il sognare nel sonno (Lawrence, 2011, manoscritto inedito).

Una matrice di Social Dreaming (SDM) sembra rispecchiare il funzionamento della mente. Il termine fu scelto da Daniel per creare un contenitore diverso per il Social Dreaming e differenziarlo dalla dimensione relazionale del gruppo e dalle sue dinamiche specifiche. Lawrence riferisce di aver dovuto costruire nella sua mente una «gabbia di Faraday che l’avrebbe protetto dall’interferenza delle dinamiche gruppali» (Lawrence, 2005b, 40).

Una matrice – dal latino matrix, utero – è un luogo in cui può crescere qualcosa, un ricettacolo mentale per la creatività e la scoperta; è la rete in cui la conoscenza e il pensiero, «conquistati dal vuoto e dall’infinito senza forma» (Lawrence, 1991), possono essere accolti e portati alla coscienza. Corrisponde allo spazio tra le menti, lo spazio descritto da Winnicott come area transizionale del gioco tra la madre e il bambino che evolve nello spazio della cultura (Winnicott, 1971). Come forma, la SDM è composta da dieci a sessanta o più persone, in una stanza in cui le sedie sono disposte, se possibile, secondo configurazioni che si ripetono come frattali: un alveare o un fiocco di neve – per suggerire la connessione tra i sognatori, senza essere necessariamente in contatto visivo. Dura un’ora o un’ora e mezza ed è convocata (convened) da uno o più host, a seconda del numero dei partecipanti: dai venti in poi è preferibile la presenza di due o più host. Gli host aiutano i sognatori ad attenersi al compito, lo modellano e proteggono i confini. L’aspetto più rilevante è ciò che gli host non fanno: non interpretano i sogni dal punto di vista della personalità del sognatore e non saturano i possibili significati che si sviluppano nella matrice. Gli host permangono nel «non sapere» finché non emerge un pattern, coltivano la capacità negativa – con- cetto che Bion mutuò da Keats per alludere alla capacità di restare nell’incertezza, nel mistero, nel dubbio, senza volgersi a un’impulsiva ricerca di fatti, ragione e comprensione (Bion, 1970). L’intento è quello di facilitare un analogo assetto mentale nei sognatori.

Prima di dare avvio a una matrice gli host spiegano in modo semplice e succinto, con un linguaggio idoneo al contesto, le premesse fondamentali del lavoro: il Social Dreaming si concentra sul sogno e non sul sognatore, ed esplora il significato sociale o sistemico contenuto nei sogni; ogni sognatore può contribuire con libere associazioni ai sogni; non si dovrebbero nutrire aspettative sull’esito della matrice; i sogni dovrebbero essere lasciati liberi di lavorare per i sognatori, non disturbati da una ricerca prematura di significato. Ciò privilegia la modalità non lineare e sincronica del pensiero e la dimensione inconscia/infinita della mente.

All’inizio di ogni matrice l’host enuncia il compito primario, quasi come un atto di fede nell’esistenza di una realtà ignota: «Il compito primario della matrice è trasformare il pensiero del sogno, associando liberamente ai sogni offerti nella matrice per scoprire legami e connessioni e forse rivelare pensieri nuovi. Dov’è il primo sogno?»

Il sogno che seguirà, raccontato in una matrice, è a nostro modo di vedere uno dei modi migliori per catturare l’insita qualità di risonanza, dove il linguaggio è usato come soltanto i sogni e la poesia sanno fare, poiché entrambe contengono un equilibrio ottimale tra logica simmetrica e asimmetrica (Matte Blanco, 1988).

[…] esiste una tela e ad ogni sua intersezione c’è un ragno in meditazione; la tela ha la stessa sensibilità della bocca del ragno e risuona con le vibrazioni di tutti gli altri ragni sulla tela.

Nella matrice vi sono molti punti di risonanza dove ogni sogno e ogni associazione risuonano con altri sogni e associazioni nella stanza: ognuno di essi genera una serie di risposte diverse. Talune spiccano più di altre e, aggregandosi, possono determinare il flusso del discorso. In realtà, tutti i fili sono presenti simultaneamente e si muovono al loro ritmo, contribuendo a creare l’immagine multidimensionale complessiva.

Ogni SDM riscopre, a suo modo, come sogno e realtà si relazionino, come sia possibile varcare i confini che li separano, come una persona possa sognare frammenti del sogno di un altro; come le menti possano esplorare e prevedere eventi futuri collegando i propri sogni.

Durante la fase REM del sonno le fitte reti neurali che connotano la veglia e la mente logica si allentano, si rilassano: come se allargassero le proprie maglie generando una condizione in cui possono emergere sogni, configurazioni inedite e pensieri nuovi. La matrice di social dreaming, che rispecchia nella veglia lo spazio notturno del sognare, è il luogo in cui i confini tra le menti dei sognatori possono diventare porosi consentendo la libera circolazione. Il processo incoraggia i partecipanti a tenere aperte le porte psichiche all’inatteso e al nuovo. L’esperienza di uno spazio aperto, dell’infinito, della mobilità e della connectedness è alimentata via via che si scoprono ed esplorano i significati sociali. I sognatori sperimentano sia la libertà insita nell’offrire i sogni, sia quella dell’associare ad essi. I partecipanti alla matrice si rendono intuitivamente conto che il compito non è incentrato sull’individuo e che le interpretazioni personali non sono richieste. Si recupera così una modalità naturale ma da lungo tempo perduta di occuparsi dei sogni in un collettivo (cfr. Hailes, 2010).

Nessun sogno è più importante di un altro, coesistono tutti nello spazio dei molti. I sogni generano un multiverso di significati a sostegno di un discorso sfaccettato che riflette sui numerosi contesti di appartenenza dei partecipanti: istituzioni, comunità, nazione, umanità e la stessa matrice. Ogni matrice infatti parla anche di se stessa e dei propri processi.

Una delle ipotesi sul SD è che il primo sogno che trova voce nella matrice conterrebbe in una forma implicata (Bohm, 1980) tutti i sogni seguenti e che potrebbe quindi essere considerato un frattale del sognare complessivo della matrice. Nel contempo, l’ipotesi di base del SD è che un sogno non possa produrre significato da solo, a meno che il significato evolva attraverso il lavoro di molti sogni collegati tra loro.

I sogni sono correlati sistematicamente, proprio come il pensiero. Ogni sogno è un frattale di un altro, perché il sognare si rivela in pattern che si ripetono: ogni sogno è parte di una sequenza di sogni della matrice… Lavorando con i significati potenziali dei sogni, tentiamo di trovare il pattern che li collega (Lawrence, 2005a, 15).

Analogamente, ipotizziamo che ogni matrice ripeta lo stesso processo, ma che solo quando ne consideriamo una serie si manifesti un pattern che può essere percepito coscientemente e descritto come tale dai partecipanti.

Alcuni anni fa una studentessa dell’Università La Sapienza di Roma si laureò in psicologia con una tesi sul SD intitolata La Matrice sogna la Matrice. Il materiale venne raccolto partecipando alla SDM on going da noi condotta una volta al mese a Roma per dodici anni consecutivi. In effetti, se l’ascolto è sintonizzato su quanto accade nella matrice, dopo qualche tempo – giacché il processo richiede tempo – si può intuire attraverso i sogni e le associazioni l’eco della matrice che riflette sul proprio processo. Su quel piano particolare avvengono conversazioni significative, si configurano pensieri interessanti su interrogativi esistenziali, sostenuti dalla connectedness dei sognatori e dall’evoluzione della loro capacità di pensiero. Quando la matrice parla di se stessa è possibile cogliere tracce del processo evolutivo dell’umanità a livello del pensiero. La matrice si rivela come processo vivente che crea il proprio linguaggio e nel contempo accede a un linguaggio pre-esistente (Fitzpatrick, 2003).

DIALOGO DI RIFLESSIONE DEL SOGNO E GRUPPO DI RIFLESSIONE DEL SOGNO

Al termine di una matrice di Social Dreaming si dedica un tempo prestabilito (da quindici a trenta minuti) al Dialogo di Riflessione del Sogno/Dream Reflection Dialogue (DRD), in cui i partecipanti possono iniziare a verbalizzare l’esperienza di immersione nel processo onirico della matrice. È molto simile al momento del risveglio quando ci si interroga sui sogni della notte e sul loro significato. È il momento il cui l’Io, provvisoriamente accantonato durante la matrice, può recuperare la propria capacità cosciente di pensare in maniera lineare, proprio come accade quando ci si sveglia dai sogni notturni. È il momento in cui il pattern emotivo di base della matrice può essere esplicitato.

A questo fa seguito il Gruppo di Riflessione del Sogno/Dream Reflection Group (DRG) che ha il compito di identificare i temi dei sogni condivisi nella matrice, individuare il pattern che li collega e suggerire ipotesi di lavoro su quanto viene rivelato del contesto condiviso. Qui viene usato il pensiero sistemico e, nello svelare il pattern delle connessioni, si tenta di realizzare una sintesi – termine mutuato dalla chimica –, cioè una condizione in cui elementi diversi possono aggregarsi per formare una sostanza nuova e differente dalle sue componenti originali separate.

Il gruppo di riflessione del sogno utilizza la conoscenza raccolta dal pensiero conscio e da quello inconscio e dai diversi campi del sapere che durante la matrice hanno trovato un pattern di collegamento. Queste nuove particelle di conoscenza possono essere utilizzate per formulare nuove ipotesi. Il lavoro congiunto del DRD e del DRG con le relative matrici è essenziale poiché in questa fase si coniugano le due modalità complementari di funzionamento mentale; la mente, dotata della capacità di discernere, può qui trasformare in pensieri inediti e in nuova conoscenza quanto è stato raccolto dalla matrice indifferenziata dell’inconscio.

CREAZIONE E DISTRUZIONE

Quando lavorava ai programmi delle Group Relations Conferences al Tavistock Institute, Lawrence nutriva un interesse particolare per il Grande Gruppo di Studio (GGS), soprattutto per la potenzialità che questa tipologia di gruppo ha di riflettere sui fenomeni sociali allargati Lawrence scrive di essere stato influenzato da Turquet e dalle sue idee sul GGS, in particolare dal concetto di Matrice come luogo da cui qualcosa può crescere, e come questa sia concettualmente distinta dal «gruppo»: «La matrice ha in sé la creatività potenziale di un grande gruppo, e in realtà le qualità della matrice devono essere ancora esplorate sul piano esperienziale» (Turquet, 1975, 96). In questo senso, quello di matrice sembra un concetto più inclusivo poiché contiene anche la configurazione del gruppo.

Un altro concetto è quello di dissarroy (neologismo dal francese désarroi, scompiglio), uno stato di completo spaesamento e confusione, un termine[…] impiegato per descrivere l’esperienza reale del cambiamento, con una connotazione intrinseca di disintegrazione e crollo, ma anche per indicare la presenza del desiderio di ritornare allo status quo ante, del desiderio di non sapere, di non tornare mai (Turquet, 1975, 103).

Turquet si sforzava di catturare il tumulto interno e il terrore che sia il cambiamento che l’apprendimento comportano, dovuti alla difficoltà di tollerare lo spazio vuoto prima che appaia qualcosa di nuovo. Bion aveva descritto una configurazione emotiva simile a cui aveva dato il nome di cambiamento catastrofico (Bion, 1965). La nostra ipotesi è che Lawrence fosse alla ricerca di un «salto quantico» che avrebbe fatto progredire il lavoro del GGS, transitando attraverso la condizione di dissarroy senza necessariamente attivare il fronte psicotico del GGS. Anzi, postulando che l’esperienza del dissarroy nel GGS sia essenziale per l’apprendimento.

Il problema di tutte le istituzioni – il Tavistock Institute e tutte quelle che abbiamo – è che sono morte, mentre le persone al loro interno non lo sono. Le persone crescono e qualcosa succederà. Solitamente succede che le istituzioni (le società, le nazioni, gli stati e così via) legiferano. Le leggi originali costituiscono un involucro, poi nuove leggi espandono quell’involucro. Se fosse una prigione materiale, si potrebbe sperare che le mura della prigione siano in qualche modo elastiche. Se le organizzazioni invece non lo fanno, sviluppano un involucro rigido e l’espansione non può avvenire perché l’organizzazione vi si è chiusa dentro (Bion, 1976, 1, (3)).

Lo sviluppo, che è il risultato dell’energia creativa, è temuto perché comporta la distruzione dell’ordine conosciuto su cui si fondano i sentimenti di sicurezza e l’idea di vivere in un universo prevedibile e controllabile. Può essere vissuta come una catastrofe incombente.

Nella SDM i sogni in cui si osservano vulcani in eruzione, inondazioni, reazioni a catena accompagnano di solito la presenza percepita di un nuovo pensiero. Sono sogni terrificanti e intensamente carichi di energia in cui il sognatore, come osservatore, è anche nella posizione di esperire la solitudine e la tristezza infinita, commiste all’euforia, provata da chi è sopravvissuto.

UN SOGNO: Sogno il terremoto del 1995 in Umbria. Sono con la mia famiglia. Posso vedere la città mentre viene distrutta, lentamente e in un silenzio assoluto. È una demolizione morbida, non spaventa: non moriamo. Mia sorella mi chiama al cellulare, è l’unico suono, vuole sapere se sono sopravvissuto e la rassicuro.

Il termine catastrofe ha un alone di significato che cattura l’idea di distruzione e nel contempo quella di nuovo inizio. La crescita legata alla creatività comporta la trasformazione. Bion parlava delle trasformazioni in O distinte dalle trasformazioni in K, del divenire la verità contrapposto al sapere la verità (Bion, 1965, Eigen, 1981). Le trasformazioni in K comportano l’evoluzione del già conosciuto e si affidano al funzionamento della mente, mentre le trasformazioni in O affrontano un diverso ordine di realtà: l’inconscio, il non conosciuto, ciò che non è ancora differenziato. O, la verità o realtà ultima, non è conoscibile non essendo di pertinenza dei sensi, ma può essere sollecitata ad evolvere verso una realizzazione emotiva conoscibile mediante l’ at-one-ment, cioè diventando O, incarnandolo, per così dire. L’esperienza emotiva del contatto con O richiede ricettività totale ed è simile al timore reverenziale.

Uno dei modi per controllare, almeno provvisoriamente, il terrore generato dal contatto con l’ignoto, O, consiste nel replicare il conosciuto per costituire una barriera. In una delle sue prime opere, Esperienze nei gruppi, Bion consi- derò le intense emozioni primarie, i pensieri irrazionali e le fantasie come perturbazioni negative e inopportune del gruppo di lavoro. In Attenzione e interpretazione, e nei suoi lavori successivi, formulò invece l’ipotesi che l’esperienza del contatto con un pensiero nuovo comporti necessariamente l’irruzione dell’irrazionalità e la creazione di una forte turbolenza emotiva. La netta distinzione e opposizione iniziale tra le caratteristiche del gruppo in assunto di base e quelle del gruppo di lavoro fu modificata, come lo fu anche il concetto di leader del gruppo di lavoro, dando luce al concetto di mistico e in seguito a quello di artista (Bion, 1983; Corrao e Neri, 1981). Inoltre il concetto di osservazione fu integrato con quello di partecipazione.

Con i concetti di turbolenza, trasformazione in O e pensieri senza pensatore, Bion indicò la possibilità di usare creativamente i processi psicotici. Una crescita reale della conoscenza, nel gruppo e nei suoi singoli membri, non può avvenire senza collegare il primitivo all’evoluto, i pensieri alle emozioni. La crescita, l’evoluzione del sistema e dei suoi singoli partecipanti in una relazione simbiotica è lo scopo fondamentale del SD. Nonostante il loro significato sia sconosciuto, i sogni possono comunque essere considerati un possibile oggetto di conoscenza e sono una delle prime forme evolute di O. Nella matrice – possiamo ipotizzare – essi creano progressivamente nel collettivo l’analogo della barriera di contatto nell’individuo (Bion, 1962): una cesura permeabile che mantiene distinti il conscio e l’inconscio, pur permettendo movimenti e correlazioni tra uno e l’altro.

Al termine di un ciclo di SDM, ecco come un sogno eloquente condensi per l’équipe medica il drammatico processo del passaggio da una modalità di funzionamento in ruolo, automatica e inefficace, alla scoperta di aree inattese di creatività e di apprendimento che esigono di essere protette e usate.

Sono in un campo arido, ma trovo in tasca qualche seme e lo semino. Trovo dell’acqua, bagno il terreno e l’erba comincia a crescere veloce, abbondante e alta: è come un mare tumultuoso. Comincia a soffiare un forte vento, come se il movimento dell’erba si fosse comunicato al cielo. Si viene a creare una tempesta e la pioggia battente distrugge tutto il raccolto. Da una parte vedo una zona di erba bassa, come quella irlandese, mi vado a sedere lì e aspetto. Dopo un po’ il temporale passa e l’erba rico- mincia a crescere, ma è più bassa.

Fin dal primo progetto nel 1982 il SD si è saldamente collegato alla creatività, alla rivelazione dell’ignoto e alla scoperta di ciò che facilita l’emergere di un processo creativo all’interno dei sistemi o che viceversa lo ostacola, sia sul piano collettivo sia su quello individuale.

UN CASO CLINICO

In un CSM distribuito su un ampio territorio regionale e colpito dai cambiamenti politici susseguiti in un breve arco temporale – il primario eredita un servizio in pieno marasma e chiede una supervisione istituzionale (Foresti, Fubini, Perini, 2011) per l’équipe, per migliorare il livello della comunicazione interna al servizio e di conseguenza migliorare il lavoro offerto ai pazienti.

Ci si accordò per un contratto iniziale di due anni e di lavorare ogni due mesi con tutto lo staff del servizio, inclusa la dirigenza, per un pomeriggio e il mattino seguente. Gli incontri articolavano diverse forme di lavoro gruppale: sempre presente una matrice di Social Dreaming, con relativi DRD e DRG, analisi di ruolo organizzativo, casi di supervisione clinica, plenarie. Il SD fu lo strumento principale per dare voce ed accedere all’inconscio del sistema.

Fin dagli incontri iniziali la realtà rivelata tanto dai sogni quanto dai colloqui di gruppo, fu che il dipartimento era in un preoccupante stato di trauma, di estrema dipendenza e molto probabilmente non adeguato per rispondere all’esigenze dei suoi utenti.

Nel corso della prima matrice che diede inizio al lavoro, il primo sogno, spesso un frattale dei discorsi a seguire, comunicò questa situazione con una certa chiarezza:

È un sogno ricorrente: ho la sensazione di essere risucchiata dentro uno spazio scuro, nelle ombre verso sera. Ero dentro come se fossi risucchiata con un imbuto rovesciato.

A quel primo fece seguito una sequenza di sogni simili, accomunati dalla sensazione di essere persi in acque minacciose, come se si fosse risucchiati dentro un utero minaccioso, affamato e allo stesso tempo fragile e sbrindellato. Un’altra sequenza tematica parlava della profonda ansia di essere inadeguati.

Sogno che devo ripetere tutti i miei esami, la mia laurea non era più valida.

Un’altra sequenza ancora rivelava l’ansia provocata dal contatto troppo stretto con i pazienti.

Tutti i membri della famiglia di un paziente sono nella stanza, sono così tanti che mi sovrastano e non c’è posto per me.

C’era un’ansia profonda: il mondo dei pazienti risuonava con quello dello staff, non c’erano confini chiari che li tenessero a una distanza di sicurezza.

In quel primo incontro le riflessioni sui sogni condivisi si concentrarono in direzione delle difficoltà interne al dipartimento (il contenitore negativo/sbrindel- lato) e a un mondo interiore in grossa difficoltà in relazione al lavoro psichiatrico.

Nel corso degli incontri seguenti il-lavoro-del-sogno rivelò una rete esistente di connessioni mentali, punto di partenza per offrire una prima forma di contenimento alla complessità del dipartimento.

La supervisione fu usata per ristabilire la capacità di operare con autorità nel proprio ruolo, anche in presenza di un contenitore istituzionale ancora profondamente sbrindellato. Utilizzando lo spazio riflessivo della supervisione lo staff fu in grado di dar voce a quello che effettivamente stava succedendo, sviluppare la propria capacità di pensare e di costruire quel contenitore, che in un secondo tempo verrà proiettato nell’istituzione e diventerà il contenitore istituzionale. La maggioranza degli operatori diede segno di funzionare meglio. Furono offerti molti sogni e la loro elaborazione rivelò la natura delle ansie presenti e la tossicità dell’ambiente di lavoro; questo, a sostegno dell’ipotesi che l’équipe fu in grado di uscire dal trauma del non contenimento ed elaborare il proprio disagio in supervisione.

È una bellissima bambina, non avrà un anno, la prendo in braccio sulle mie ginocchia e lei mi fa pipì addosso. Più avanti nello stesso sogno degli uomini mettono sostanze tossiche nell’acqua, è un ambiente minaccioso…

L’acqua è ancora fonte di minaccia, ma trasformazioni sono possibili.

Nel fiume c’era un furgoncino con pazienti trasportato via dalla corrente. Non c’è nessuno che porti aiuto. Io chiamo il 118 così possono salvare le persone dalle acque… C’è una cascata enorme, minacciosa; nelle acque ci sono pacchetti di pasta, spuntini e molto cibo diverso…

Emergono sogni di contenimento e di luoghi dove poter portare i propri bisogni.

Devo andare al bagno per un«bisogno grande»; la toeletta non è normale, riesco comunque a fare quello di cui ho bisogno. Nella stanza c’è un camino acceso e caldo…

Nel corso del primo anno queste posizioni furono sognate e progressivamente elaborate. Uno dei primi risultati tangibili fu che conflitti e discussioni insensate furono meno presenti; il direttore e la coordinatrice, pur mantenendo le proprie diverse posizioni sperimentarono il linguaggio della collaborazione, alcuni operatori incominciarono a riflettere sulla natura del proprio lavoro, sull’incontro con la psicosi e sulla tolleranza di quanto ancora non si conosce; apparvero «pensieri nuovi».

Con lo spazio mentale conquistato, fu possibile contemplare una visione sistemica e allargata dell’istituzione. Il materiale clinico rivelava che l’istituzione–nel- la–mente (Armstrong, 2005) stava prendendo posto e rimpiazzando l’esperienza di essere sospesi in una bolla traumatica. Il contesto istituzionale più allargato di cui l’équipe faceva parte divenne parte dei discorsi e dei sogni offerti nella matrice.

Come se i germi di una primavera del pensiero avessero fatto la loro apparizione, i sogni presentarono il tema del nuovo che deve sopravvivere agli attacchi del vecchio/morto, dove il nuovo era lo stato più vitale dell’équipe e il vecchio l’istituzione che non avrebbe tollerato il cambiamento e che divenne l’oggetto contenitore delle proiezioni contro un’entità repressiva e colpevole.

Il contenuto dei sogni si mosse dal campo delle dinamiche interne del dipartimento a quello di un’istituzione minacciosa, pronta a schiacciare ogni tentativo di innovazione.

Ero in un tribunale, la maggior parte dell’équipe era presente: un uomo era stato condannato a morte dai suoi colleghi perché: «Non pensa come noi!!»
…Mio nonno e mia figlia erano morti. Cerco di vestirli e di tenere calda mia figlia, ma tutti e due sono così rigidi che non c’è nulla da fare…

…Per entrare in ospedale devo passare attraverso un tunnel e un certo tipo di porta piccolissima… per uscirne devo passare attraverso una porta ancora più piccola…

Quando si sviluppa la capacità di «pensiero», con le sue conseguenti istanze di libertà, l’istituzione (sia quella – nella– mente che quella reale) sarà in grado di tollerare e di integrare il nuovo assetto o lo dovrà schiacciare sul nascere?

I sogni di quel periodo accennano alla possibilità di cambiamento e di essere più liberi.

Il mio gatto è morto: spero che mi daranno uno dei gattini che sono appena nati… …Vado in ospedale che però non è più come era prima. Stanno ristrutturando tutto, ma non so ancora se mi piace…
…La mia auto non ha porte, né baule, ma funziona bene comunque, la struttura interna è solida…

…Incontro un uomo e ci piacciamo. Lui mi dice «sono sposato!» «Anche io!» rispondo io, allora possiamo rilassarci e stare insieme. Mi vedo bella e rilassata. Non abbiamo bisogno di pensare a una relazione stabile e possiamo goderci il momento…

A distanza di due anni dall’inizio della supervisione, il dipartimento aveva ripreso a funzionare e ad erogare un servizio adeguato agli utenti; gli operatori, nella maggioranza dei casi, avevano ristabilito il senso della propria competenza e richiesto accesso a corsi di riqualificazione e formazione professionale. I molti sogni condivisi erano diventati parte della cultura del gruppo, come una biblioteca di sogni alle cui metafore accedere quando fosse necessario per facilitare il dialogo nell’équipe.

APPLICAZIONI: IL SD RICHIEDE TEMPO E DEVE ESSERE FACILITATO DA MANI ESPERTE

L’utilizzo del Social Dreaming è inestimabile quando occorre mobilitare il pensiero creativo di un’organizzazione e sostenerlo, quando una cultura esistente deve cambiare e i suoi futuri possibili devono essere ancora immaginati e affrontati, quando un’organizzazione ha raggiunto i limiti della propria comprensione, quando è necessario – come nella risoluzione dei conflitti – dare innanzitutto spazio a un campo di risonanza affettivo inconscio prima di affrontare le questioni in conflitto.

Il SD è stato ampiamente validato come strumento di indagine culturale e al momento sembra essere una risposta efficace ai bisogni delle organizzazioni che hanno scoperto i limiti delle metodologie tradizionali di risoluzione dei problemi. C’è una crescente consapevolezza del ruolo giocato dai processi inconsci nella vita quotidiana e nelle decisioni prese dai detentori di ruolo nelle organizzazioni (Eisold, 2010).

L’esito del SD è visibile e valutabile quando questa metodologia è utilizzata per un periodo sufficientemente lungo da consentire di osservare gli sviluppi e le trasformazioni del pensiero del gruppo. Una consulenza breve può essere efficace perché si avvale della matrice come strumento diagnostico. Di solito, infatti, la matrice rivela con precisione la situazione presente e quale potrebbe essere il problema principale. Tuttavia, soltanto quando la consulenza ha una certa durata i detentori di ruolo hanno la possibilità effettiva di utilizzare la trasformazione del pensiero dell’organizzazione e lo sviluppo della sua connectedness emotiva. In una consulenza dove si usa il SD lo scopo è di mettere chi detiene un ruolo nella condizione di valutare lo stato dell’essere e lo stato del divenire del sistema di appartenenza e di utilizzare tali informazioni per promuovere il cambiamento. È ciò cui si riferisce Lawrence quando, nel contesto di una consulenza, riflette sulla politica della rivelazione contrapposta alla politica della salvezza (Lawrence, 1998). L’augurio è che, una volta terminata la consulenza, sia l’organizzazione stessa a continuare la SDM e a integrare il dialogo con i sogni come parte del flusso ininterrotto del proprio discorso organizzativo.

L’idea di introdurre il SD in un’organizzazione come pratica stabile trova sostegno nell’esperienza nostra e di molti colleghi. Inoltre, il SD presenta il valore aggiunto di indirizzare e mobilitare le risorse della persona nel suo insieme, non solo come detentore di ruolo, contribuendo in tal modo all’umanizzazione del posto di lavoro.

Attualmente il SD trova applicazione in diversi contesti sociali e in molti paesi, tra cui Regno Unito, Italia, Finlandia, Germania, Australia, Israele, Stati Uniti, India e America Latina.

Nel campo dell’istruzione, dalla scuola materna all’università, si tengono SDM indirizzate al personale docente e agli studenti. Le SDM fanno parte della formazione esperienziale nelle facoltà di psicologia, psicoterapia e scienze dell’educazione, nella sanità pubblica, nell’esercito, nei servizi sociali, nei partiti politici e nella Chiesa.

Le SDM, con i complementari DRD e DRG, sono utilizzate come strumento di ricerca-azione e consulenza all’interno di organizzazioni private e pubbliche.

Società professionali nel campo della psicoterapia e della sociopsicoanalisi come ISPSO, IAGP, GAS, BAP, COIRAIG e IAAP hanno avviato la pratica di inserire la SDM nei loro convegni e incontri professionali.

Per certi versi, il SD ha la semplicità dello Zen: qualche linea tracciata sulla sabbia di un giardino, un segno di inchiostro su un rotolo di carta di riso. Il SD opera con un assetto mentale capace di lasciar andare il superfluo e rivolgersi direttamente all’essenza delle cose e dei fenomeni. Tutti abbiamo questa potenzialità, ma molto raramente siamo in grado di sostenerla senza una pratica dedicata.

Attualmente, la maggioranza degli host di SD ha anche una formazione psicoanalitica e gruppale; tutti concordano sulla necessità di coltivare la capacità di sintonizzazione con quanto è specificamente necessario per condurre un SD. È quindi raccomandabile una formazione individuale e la partecipazione ai programmi di SD appositamente strutturati per sviluppare la capacità di aiutare un collettivo a fare buon uso dei propri sogni, a navigare in sicurezza tra l’inconscio e il conscio, a essere curiosi del nuovo e tolleranti verso l’incertezza e il dubbio.

Programmi di formazione sono stati istituiti in UK, Italia e US. (Eden, 2010).

SINTESI E PAROLE CHIAVE

Il Social Dreaming non è un’invenzione – secoli di condivisione dei sogni nella collettività lo testimoniano –, ma una scoperta che, insieme alle ricerche sulle dinamiche gruppali, portò Gordon Lawrence a ipotizzare che i sogni esplorati nel contesto dei molti, diverso da quello della diade psicoanalitica, avrebbero potuto rivelare significati sconosciuti e facilitare lo sviluppo del pensiero applicato a tematiche sociali, culturali, istituzionali. Lawrence propose una metodologia per sostenere tale processo. Il SD si focalizza sul sogno e non sul sognatore, ovvero sul sapere culturale dell’ambiente piuttosto che sul carattere individuale del sognatore. Fa sua la prospettiva della Sfinge – legata a problemi di conoscenza e di metodo scientifico – piuttosto che la prospettiva di Edipo – relata alla diade (Bion 1961). Il SD avviene nella «matrice», contenitore che cattura gli echi dei pensieri che si trovano nello spazio dei -molti-nella-mente, dove ciascuno di noi è connesso con l’ambiente sociale, culturale, naturale.

PAROLE CHIAVE: Applicazioni, creatività, frattali, matrice, dove qualcosa può crescere; pensiero sistemico, universo/multiverso.

DREAMS IN SEARCH OF A DREAMER: A HYPOTHESIS ON THE HISTORY AND THEORY OF SOCIAL DREAMING. Social Dreaming is not an invention – centuries of collectively sharing dreams attest to this – but a discovery that, together with research on group dynamics, brought Gordon Lawrence to hypothesize that dreams explored in the context of many, differently than in the psychoanalytic dyad, would be able to reveal unknown meanings and to facilitate the development of thought applied to social, cultural, and institutional themes. Lawrence proposed a methodology for supporting such a process. Social Dreaming is focused on the dream and not on the dreamer, or rather on the cultural knowledge of the environment instead of on the individual character of the dreamer. His perspective was of the Sphinx – linked to problems of knowledge and the scientific method – rather than of Oedipus – related to the dyad (Bion 1961). Social Dreaming occurs in the «womb», the container that characterizes the echoes of thought in the space of the many-in-the-mind, where each of us is connected with the social, cultural, and natural environment.

KEYWORDS: Applications, creativity, fractals, systematic thought, universal/multiversa, where something can grow, womb.

RÊVES EN QUÊTE DE RÊVEURS: HYPOTHÈSES SUR L’HISTOIRE ET LA THÉORIE DE SOCIAL DREAMING. The Social Dreaming n’est pas une invention – de siècles de rêves communs chez la communauté le témoignage – mais une découverte qui, avec les recherche sur les dynamique groupales, mena Lawrence Gordon à hypotiser que l’exploration des rêves dans un cadre élargi, différent de celui de dyade psychanalytiques, pourrait révéler des significations inconnues et faciliter le développement d’une pensée appliquée à des thèmes sociaux, culturels, institutionnelles. Lawrence proposa une méthodologie pour soutenir ce processus. Le SD se concentre sur le rêve, non pas sur le rêveur, c’est- à-dire sur la connaissance culturelle de l’environnement plutôt que sur le caractère individuel du rêveur. Il fait sienne la perspective de la Sphinx – liée à des problèmes de connaissance et de méthode scientifique – plutôt que la perspective d’Œdipe – liée à la dyade (Bion, 1961). Le SD a lieu dans la «matrice», conteneur qui attire les échos des pensées qui se trouvent dans l’espace des plusieurs-dans- l’esprit, où chacun de nous est relié à l’environnement naturel social, culturel.

MOTS-CLÉS: Applications, créativité, fractales, matrice où quelque chose peut se développer; pensée systémique, univers / multivers.

ISUEÑOS EN BUSCA DE SOÑADORES: HIPÓTESIS SOBRE LA HISTORIA Y LA TEORÍA DEL SOCIAL DREAMING. El Social Dreaming no es una invención – siglos de compartir sueños en la colectividad lo atestiguan –, sino un descubrimiento que, junto a las investigaciones sobre las dinámicas de grupo, llevó a Gordon Lawrence a hipotizar que los sueños explorados en el contexto de la mayoría, distinto al del duo psicoanalítico, podrían revelar significados desconocidos y facilitar el desarrollo del pensamiento aplicado a temáticas sociales, culturales, institucionales. Lawrence propuso una metodología para sostener dicho proceso. El SD se focaliza en el sueño y non en el soñador, es decir en el saber cultural del ambiente más que en el carácter individual del soñador. Asume la perspectiva de la Esfinge –ligada a problemas de conocimiento y de método científico –, más que la perspectiva de Edipo – relacionada con el dúo (Bion 1961). El SD tiene lugar en la «matriz», contenedor que captura los ecos de los pensamientos que se encuentran en el espacio de la mayoría en la mente, donde cada uno de nosotros está vinculado con el ambiente social, cultural, natural.

PALABRAS CLAVE: Aplicaciones, creatividad, donde algo puede crecer, fractal, matriz, pensamiento sistémico, universo/multiverso.

TRÄUME AUF DER SUCHE NACH TRÄUMERN: HYPOTHESEN ÜBER DIE GESCHICHTE UND DIE THEORIE VOM SOCIAL DREAMING. Das Social Dreaming ist keine Erfindung – seit Jahrhunderten werden Träume in der Gruppe geteilt – sondern eine Entdeckung, die zusammen mit den Forschungen über Gruppendynamik Gordon Lawrence dazu veranlasst haben zu vermuten, dass die Träume, die in einer Gruppe exploriert werden – anders als in einer psychoanalytischen Dyadeunbekannte Bedeutungen entfalten und das Denken in Hinblick auf soziale, kulturelle, institutionelle Themen erleichtern. Lawrence schlug eine Methode vor, um diesem Prozess zu unterstützen. Das SD fokussiert auf den Traum, nicht auf den Träumer. Er machte sich dafür die Perspektive der Sphinx – im Zusam- menhang mit den Fragen über Erkenntnis und wissenschaftliche Methode – und nicht die Perspektive des Ödipus – mit der Dyade verbunden (Bion 1961) – zu eigen. Das SD findet in der «Matrix» statt, ein Behälter für das Echo der Gedanken im Raum der Viele-im Geist-in dem jeder von uns mit der sozialen, kulturellen und natürlichen Umwelt verbunden ist.

SCHLÜSSELWÖRTER: Anwendungen, Kreativität, Matrix, systematisches Gedankengut, Univer- sum/Multiversum, wo etwas wachsen kann.

 

 

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